25 Aprile
Sarà stato l’agosto (di questo sono sicuro, mio padre prendeva le ferie sempre in quel mese) del 1975 o 1976.
Eravamo a Macerata, a casa di un
cugino di mio padre, quasi un fratello, considerato che lui e i suoi due
fratellini più piccoli andarono a vivere con i miei nonni, dopo che rimasero
prematuramente orfani. Mio nonno diceva sempre: dove si mangia in dieci (8
figli più i genitori) si mangia in tredici.
Eravamo seduti al tavolo da
pranzo, mia zia andava avanti e indietro nervosamente, portava cose da mangiare,
sparecchiava, riportava altro. Mio padre era nervoso, “Dici che viene?”.
“Certo.” rispondeva mio zio.
Ogni dubbio venne fugato e ogni
certezza rafforzata dal suono del campanello. Sentii mia zia urlare di gioia,
mio padre si alzò dalla sedia molto emozionato, si toccò i capelli, e rimase in
piedi ad attendere l’ingresso dell’ospite.
Era basso e un po’ grassoccio, un
viso solcato da rughe scurite dal sole.
Rapidamente abbracciò mio zio,
che aveva già incontrato nei giorni precedenti, e si avviò verso mio padre che era
rimasto incollato al pavimento. Le emozioni reciproche virarono in pianto
quando si strinsero per un tempo infinito, forse pochi secondi, sembrò
un’eternità.
Ecco, quello fu la prima volta
che compresi veramente cosa significasse la lotta partigiana. Lo capii seguendo
il racconto del cugino di mio padre sulla ribellione per l’occupazione nazista
e fascista in quella landa sempre un po’ in disparte che era il territorio del
maceratese. Una zona periferica d’Italia, non per niente in lingua antica
tedesca ‘Mark’ significa regione di confine, dove in realtà passavano i
rifornimenti che dal Nord andavano a foraggiare le truppe di occupazione del
Centro Italia.
Si chiamava Nello Salvatori, è
morto non troppi anni fa. Era un giovane di poco più di vent’anni che insieme a
tantissimi altri non risposero alla chiamata di leva della loro classe e si
diedero alla macchia; moltissimi entrarono in formazioni partigiane.
Quanti eroi sconosciuti ci sono
tra i nostri nonni, uno di questi si chiamava Emanuele Salvatore Lena detto
Nené o Acciaio, volto da attore (foto a lato), animo da eroe. Un tenente dell’Esercito regio nativo di Ragusa, che inviato al
Nord dopo l’8 settembre 1943, decise di unirsi ai partigiani maceratesi con i
quali portò a segno numerose operazioni di liberazione di prigionieri,
sabotaggi e distruzione di armi. Passò poi ad addestrare i repubblichini ma in
realtà era una spia dei partigiani (di impronta cristiana). Morì, dopo essere
stato scoperto e catturato, mentre scappava per i campi. Ovviamente gli
spararono alle spalle, i fascisti. È una storia che andrebbe raccontata da
qualcuno più bravo di me.
Tornando a noi, cosa appresi quel pomeriggio di tanti anni fa. Che Nello Salvatori fu catturato durante un rastrellamento in un casolare isolato, insieme a lui altri partigiani.
Dopo un interrogatorio rivelatosi del tutto inutile, durante il quale fu sottoposto anche a tortura, arrivò l’ordine di fucilazione. Poi sospeso per volontà dei nazisti e, infine, portato a termine da un battaglione di Camicie Nere.
Era il 22 marzo 1944, i
condannati furono condotti in una località di campagna e fatti scendere dai
camion, ne arrivarono altri, alla fine i condannati a morte, mediante
fucilazione alla schiena per renitenza alla leva e appartenenza a bande
partigiane, furono trentadue.
L’esecuzione avvenne a piccoli
gruppi, quelli che seguivano dovevano gettare nel fosso i caduti del turno
precedente, in pochi minuti era tutto finito, non prima che un ufficiale
verificasse se non ci fosse qualcuno vivo.
Nello Salvatori fu colpito in
varie parti del corpo da una raffica di mitra, nessuna ferita fu mortale, venne
gettato sopra gli altri cadaveri, e fu ricoperto da quelli uccisi dopo.
Nello, ferito ma ancora vivo e in
grado di ragionare, trattenne il respiro, restò immobile per altre tre ore
dopo che sentì il rumore dei motori affievolirsi e scomparire. Scrisse che il
sangue dei morti gli colava ovunque, anche in faccia e bocca, non riusciva
quasi a respirare. C’era la neve e faceva un freddo cane, disse. Poi sentì delle
voci, delle persone avvicinarsi, comprese che erano abitanti e contadini della
zona. Si fece forza e riuscì a gridare, lo sentirono, lo salvarono e lo
nascosero. Successivamente rimase nei boschi per settimane, ritrovò altri partigiani, si unì a loro e dopo poco meno di tre mesi il suo
paese fu liberato. Dopo un anno, la guerra finì. S’imbarco per il Sudamerica,
arrivò in Argentina, si rifece una vita, allevò bestiame in un ranch enorme,
divenne Alcade (credo sia simile al Sindaco) del suo paese. Divenne un nonno amorevole e rispettato anche dai
concittadini.
A più riprese tornò in Italia a
testimoniare il suo disprezzo per la guerra. Fu insignito di diverse
onorificenze, una anche dal Presidente della Repubblica, scrisse memorie e un
libro per raccontare la sua avventura.
All’ingresso del cimitero del
paese c’è un sacrario. Ogni volta che andavamo a trovare i nonni
defunti, mio padre mi indicava, quello era mio cugino, quello il fratello di…,
l’altro il fidanzato di tua zia Maria, quello abitava a cento metri da casa
mia…
Quando l’eccidio di Montalto si
compiva mio padre era prigioniero in Germania, essendo stato deportato con
migliaia di soldati italiani dopo l’8 settembre 1943. Rifiutandosi di aderire
alla Repubblica di Salò (quasi tutti i soldati italiani prigionieri rifiutarono, a smentire la diceria che siamo un popolo che sale sul carro del "potenziale" vincitore), si fece una lunga vacanza a spese dei nazisti e un avventuroso
ritorno in paese tra mille difficoltà.
Ecco, questo fu il mio primo
incontro serio con i partigiani che combatterono per la libertà. Un incontro illuminante che proseguirà finché che vivrò.
STHEPEZZ
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