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CASA NUOVA, VECCHI PROBLEMI


CASA NUOVA, VECCHI PROBLEMI






- Amore, vado!
- Attento, rispose lei dopo averlo baciato.
- Certo, non voglio rompermi l’osso del collo.

La casa era messa male ma lui aveva le mani d’oro; già tante cose erano state sistemate.
Uscì con la cassetta degli attrezzi a tracolla, girò l’angolo e iniziò a salire la scala poggiata davanti la finestra.
Lei gli fece un cenno con il capo continuando a tagliare la cipolla, la testa di lui scomparve, vide passare il tronco, le ginocchia, le scarpe e infine gli alberi divennero il suo panorama inquadrettato dai pioli della scala.
Sentiva picchiare il martello mentre continuava a soffriggere; il tetto era messo male, con un telo cerato erano riusciti a coprire un buco, perlomeno se avesse piovuto non sarebbe entrata acqua in casa.

Lei aveva ripulito l’interno, verniciata la ringhiera delle scale che portavano al piano superiore, sistemati alcuni scalini di legno, il resto lo avrebbero fatto con calma.

Squillò il telefono appeso alla parete (lo avevano mantenuto, un vezzo), non poteva essere sua madre, in genere si sentivano la sera e poi non chiamava mai al numero fisso, sicuramente qualche operatore telefonico.
- Mmm.
- …
- Mmm.
- Smettila! Anche qui!, gridò alla cornetta.
- … (ansimavano all’altro capo del telefono).
- Maniaco, come hai fatto a trovarmi?
- … (il respiro era sempre più forte).
- Chiamo la polizia, disse.
- … (il grido fu forte, esplosivo, gutturale e inequivocabile).

Si asciugò una lacrima, l’aveva trovata, non era servito a nulla cambiare quartiere e andare ad abitare con un uomo invece che con delle studentesse.
Lui sapeva dove abitava, si pentì di aver scelto una casa isolata e di non aver detto nulla al suo fidanzato. Si pentì soprattutto di non averlo denunciato alla polizia.
La radio passava il tormentone di turno, lei invece passava dalle verdure ai bocconcini di carne con una velocità degna di uno chef, aveva tutto sotto controllo, il pranzo sarebbe stato pronto a breve, solo la testa ormai era a quello stronzo.

Glielo avrebbe detto, ma come spiegare che la storia andava avanti da mesi e che la decisione di vivere insieme era stata forzata da questo, pensò mentre…

Fu quando la canzone alla radio stava terminando che sentì il rumore, la cassetta degli attrezzi che batteva sul tetto, pensò, o forse una tavola poggiata che stava per scivolando via; poi il movimento si fece lieve e continuo, come se qualcosa venisse trascinato.
D’istinto si girò verso la finestra, appena in tempo per scorgere un’ombra, qualcosa era caduto dall’alto, si diresse verso il vetro.

Il suo fidanzato era in terra, un cacciavite piantato nella schiena.

Urlò così forte che il vetro tremò, poi si girò di scatto, corse verso l’uscio, afferrò la maniglia ma, prima che potesse tirarla a sé, la porta le venne incontro; solo il suo piede evitò che il legno le picchiasse in viso. In una frazione di secondo realizzò che non poteva essere una cosa buona; forzando con la spalla riuscì a richiuderla, cogliendo di sorpresa chiunque fosse lì fuori.

Scappò di corsa al piano superiore, si chiuse in camera da letto. Un rumore di legno infranto, poi sentì il cigolio delle scale sotto pesanti e veloci passi, infine quel qualcuno si abbatté sulla porta della camera che resistette al primo urto.
Non sapendo cosa fare aprì la finestra, guardò in basso, non era il caso di saltare, nella migliore della ipotesi si sarebbe rotta una gamba e lui l’avrebbe comunque presa; si armò della brocca di metallo che utilizzava per lavarsi, rovesciò l’acqua dalla finestra, si mise a fianco della porta impugnando l’arma.

Le spallate sembravano dare risultati, il legno iniziava a scheggiarsi all’altezza della chiusura; stava tremando di paura, il braccio con il quale teneva la brocca tremolava, si morse le labbra per non gridare, fiatare, respirare.

La porta cedette, lei fece un passo indietro, lo vide, non era molto alto, aveva il viso travisato da una sciarpa, il cappuccio della felpa in testa. Si avventò con le mani protese per afferrarla, lei abbassò la brocca, lo colpì forte al braccio sinistro; stava per ripetere la manovra verso l’altro braccio quando vide l’arto avvicinarsi al suo volto, sempre più vicino, come un tempo al rallentatore, al termine aveva un pugno, fu l’ultima cosa che vide.

***

Era sul letto, legata alla sponda metallica, braccia e gambe a croce, e con indosso solo la biancheria intima.
Le faceva male il labbro e il naso, sentiva il sapore metallico del sangue in bocca, cercò di liberarsi, mosse forsennatamente la testa a destra e a sinistra, sbarrò gli occhi, tentò di urlare, era imbavagliata.

Alzò la testa e lo vide, era seduto accanto al comò, trafficava con il cellulare, si alzò, la inquadrò, scattò tra le proteste mute di lei, le vene del collo erano sul punto di scoppiare, gli occhi di fuori.

Poi tirò fuori un coltello a serramanico, lo fece scattare, si avvicinò; lei era terrorizzata, non riusciva a muovere un solo muscolo, chiuse gli occhi, e si disse, faccia quel che vuole, non opporrò resistenza.
L’uomo le tagliò le bretelle del reggiseno, calò le coppe, tagliò sul fianco lo slip.
Era in preda al panico, riaprì gli occhi, lui guardava fisso il pube, si avvicinò con il viso, la baciò sul seno, sulla pancia, poi lentamente scese. Si fermò, lesse del terrore negli occhi di lei, si riavvicinò al seno, prese un capezzolo tra i denti, delicatamente, poi l’altro.

Era senza respiro, priva di volontà, lui di nuovo scese con la bocca, si soffermò sull’ombelico, ci infilò la lingua, la baciò, scese, scese e scese ancora. La lingua iniziava ad assaggiarla quando lei si ribellò, alzò la pancia così repentinamente che lui ne fu sorpreso, lei sentì che la gamba sinistra aveva una certa libertà, piegò la testa fino a poggiare il mento al petto e le parve che il laccio alla caviglia fosse lento.

Lui sprofondò con la testa, allora lei fece appello a tutte le forze, tirò le gambe verso sé, la sinistra si liberò. Lui ne fu sorpreso, lasciò cadere il coltello sul letto. Si esibì in una presa al collo mentre lui tentava di alzarsi; sembrava una mossa da lotta greco-romana, non l’aveva mai praticata, solo vista in TV.

La stretta al collo, il conseguente e violento colpo sul pomo d’Adamo, lo fecero diventare rosso in un attimo, tentò di afferrare la gamba, sentiva mancare il respiro, lei sentì di avere una forza incredibile, l’aveva, la disperazione aiuta, strinse più che poteva, lo vide annaspare, il viso ora cianotico.

Lui perse conoscenza.

Il peso dell’uomo sulla gamba destra; con il piede liberato lo spinse giù, cadde sul pavimento con un lamento, temette che si fosse ripreso, però dopo alcuni attimi non vide spuntare la sua testa o la mano dal bordo del letto e si rassicurò.

Cosa fare? D’istinto allungò la gamba libera, il coltello giaceva al suo lato destro del letto, con una manovra complicata lo prese per l’impugnatura, tra due dita del piede.
Tenendolo fermo con la pianta del piede e con la lama all’insù iniziò a muovere l’altra gamba, cercando di tagliare la cordicella che la teneva bloccata.
Non era troppo robusta, di una fibra naturale e non sintetica, questo faceva ben sperare. Però così non sarebbe riuscita a concludere nulla, avrebbe impiegato un mese a tagliare la corda, in tutti i sensi.

Decise per un’altra soluzione, quella di forza, la spalliera di ottone del letto non le era mai sembrata troppo resistente, lo sapeva per le volte che ci si era aggrappata quando il fidanzato le era sopra.

Oscillò, fece appello alle sue braccia di non tradirla e tirò con tutta la forza che aveva, sentì i fermi cedere, tirò più forte, la spalliera si staccò.

Riuscì a mettersi seduta nonostante quell’enorme appendice, l’uomo in terra dava segni di ripresa, afferrò la spalliera e lo colpì in testa, augurandogli un profondo sonno.

Una gamba sul letto, l’altra poggiata in terra, le mani appese alla spalliera, non era facile, provò in diversi modi ad avvicinarsi alla gamba per sciogliere i nodi, poi si ricordò del coltello e non senza difficoltà lo prese e liberò l’altro piede.

Tenne la lama tra i piedi uniti, avvicinò una mano, portandosi dietro tutto l’armamentario. La mano destra iniziò a lavorare sulla corda, alcuni fili cedettero. Continuò incurante dei tagli, con più foga, in quella posizione assurda, il polso le faceva male, un altro cordoncino cedette, allora pensò che ce l’avrebbe fatta; tirò forte, sempre più forte incurante del dolore, e finalmente la corda si ruppe.

In un attimo liberò l’altro braccio, gettò l’arma lontano, scavalcò il corpo dell’uomo, si infilò i jeans a pelle, una maglietta e corse via, fece gli scalini a tre a tre, aprì la porta girò l’angolo e corse dal fidanzato, mentre cercava di togliersi il nastro dalla bocca.
Respirava ancora, aveva un cacciavite conficcato nella parte sinistra della schiena, capì che il colpo non era troppo profondo, forse qualche costola aveva fermato il ferro, il sangue non era copioso, lui non parlava, lei non sapeva che fare.

Allora lui sgranò gli occhi, lei capì che il pericolo era alle sue spalle, l’uomo correva zoppicando verso di lei, un enorme e sanguinante bernoccolo in fronte; per evitare di essere presa ruzzolò via facendo una capriola all’indietro, l’uomo nello slancio si fermò prima di cadere, si girò di lato e le si gettò addosso schiacciandola sull’erba e cercando di immobilizzarle le braccia.

Si rotolarono, lei gli graffiò il viso, lui la schiaffeggiò, erano avvinghiati l’un l’altra.

Lui fece l’errore di scostarsi un poco per sferrarle un pugno, lei caricò le gambe e puntandole al petto lo scalciò via. Cadde sulle spalle accusando il colpo, scattò in piedi, corse verso il suo fidanzato, l’altro la inseguì e l’afferrò con un braccio intorno al collo; fu allora che ignorando lo sfregio o il dolore che avrebbe potuto sentire il ferito estrasse il cacciavite dalla schiena del ferito e trapassò il braccio del maniaco.

L’urlo fu potente che per una frazione di secondo lei si immobilizzò, l’adrenalina era così forte che la mantenne vigile, si girò di scatto e gli piantò l’attrezzo nella pancia, con rabbia, lo spostò di lato provocandole uno squarcio dal quale il sangue uscì a fiotti.

Il fidanzato le sorrise, con gli occhi le disse grazie, tranquilla, non morirò.

Lei si sedette in terra, la testa tra le ginocchia e pianse, pianse un tempo infinito durato solo alcuni secondi.

STHEPEZZ

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