BATTERE IL MOSTRO
Se quel letto avesse le ruote / ti porterei in giro per la città. /
Direi ora dorme, / è lei che ha fatto di me / quel che di
buono trovi. / Il resto è opera mia. / …
È l’inizio di una poesia che composi anni fa per
mia madre.
Era in un letto, lei non lo ha mai ascoltata, non
perché non gliela volessi recitare ma perché ormai non comprendeva quasi più
nulla, non riconosceva nessuno, non parlava.
Sorrideva qualche volta nel vedere il mio viso.
Non è mica facile, cosa credete…, è la prima
volta che ne parlo, nonostante siano passati tanti anni.
L’Alzheimer è una cosa schifosa, come altre
malattie direte, certo, ma non sono qui a far classifiche.
Questo mostro oggi sembra ancora imbattibile,
anche se ogni tanto qualche buona notizia ci fa ben sperare; il percorso è
lungo ma so che alla fine vinceremo.
Non è un plurale maiestatis il mio, solo
che mi sento parte integrante della lotta, pur non essendo un ricercatore, un
medico o sono competente in qualcosa di attinente alla malattia.
Sono solo uno che ha combattuto personalmente e
non si è rassegnato a vedere la persona che ti ha insegnato a parlare perdere
l’uso delle parole, non capirne più il significato.
Uno che ha visto la propria madre vestirsi in
modo strano, scambiare l’estate con l’inverno, usare la forchetta per tagliare
la carne tenuta ferma con il coltello, aprire il gas per la notte, non sapere
più che giorno e ora fossero.
Allora sei lì, impotente; con la rabbia di veder
compiere in maniera buffa delle semplici e meccaniche operazioni e con
quella di non capire perché qualcuno ha voluto farti questo.
Vedere colei che ti ha partorito, insegnato a
mangiare, a lavarti, a vestirti, dimenticare per sé tutto ciò, fa male.
Ti domandi cosa hai fatto per dover
assistere a questo strazio, a una regressione così veloce quanto rapido è
l’apprendimento di un bimbo.
La perdita di ricordi condivisi e di quelli di
quando ero troppo piccolo chi me li ripagherà?
Non ti rassegni, vorresti batterti contro questo
mostro invisibile che si sta portando via una parte fondamentale della tua
vita.
Un mostro che sta cancellando la sua mente, il
suo affetto per gli altri, che fa dimenticare il tuo nome o lo scambia con
quello del fratello amato o con quella della sorellina morta oltre sessant'anni
anni prima.
E tu sei impotente, vedi il suo sorriso farsi
raro, triste, duro, inatteso o inopportuno, per poi scomparire del tutto.
E arriva sempre il momento che perdi la
pazienza, che la rimproveri di non saper fare la cosa semplice, che non è
possibile che si sia dimenticata di nuovo la chiave attaccata alla porta, che
non riesca a trovar più la strada di casa, il rifugio che ha governato per
decenni. Che guardi con aria smarrita i vicini, i negozianti, che alzi gli
occhi al cielo dicendo oggi piove mentre tu te li stai proteggendo da un sole
accecante.
Provi un istinto innaturale, pensi cose che non
avresti mai immaginato, devi reprimere la tua disperazione, cerchi di
convincerti che lei non è consapevole, per fortuna, che se non lo osservi il mostro scomparirà.
Invece è sempre lì, ed è anche dentro di te, il
mostro sta combattendo per toglierti il sonno, il senno e la voglia di vivere,
per testare la tua resistenza, quella degli altri familiari, ma tu non vuoi
dargliela vinta, l’assisti fino alla fine.
Accetti la lotta, lo fai per chi non può, pur consapevole che ogni sforzo sarà vano; solo per poter dire non averla
consegnata senza lottare nelle mani del mostro che è riuscito a portar via
molto, quasi tutto, ma nulla ha potuto contro l’amore che lei ti ha dato e quello che le hai
restituito.
In un tempo (supplementare) sospeso, guadagnato
alla vita.
Alla fine, ho vinto io.
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