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Visualizzazione dei post da aprile, 2019

VITTIMA O CARNEFICE?

VITTIMA O CARNEFICE? Sentì il bisogno di sistemarlo. Si rese conto che non avrebbe potuto farlo, era legato come un salame. Le cinghie di cuoio lo cingevano per tutto la lunghezza del corpo, dalle caviglie, a distanza regolare, fin quasi alle spalle. In bocca aveva qualcosa di tondo, immaginò fosse una di quelle palle di gomma che usano nel bondage o i torturatori. Gli tolsero in cappuccio, una bellissima ragazza succintamente vestita glielo stava smanettando, lo avrebbe preso in bocca se non fosse che l’altra, quella mulatta e altissima, non le avesse dato un colpo con il fianco e spostata di lato. - Tocca a me, disse mentre si tirava su la minigonna.  Provò una strana sensazione, un misto di soddisfazione e fastidio; quando mai una sventola del genere avrebbe concesso a lui certe attenzioni e, al tempo stesso, gli era calato un malessere quasi fisico. Era certo che non fosse la prima volta nel giro di qualche ora che lo  usavano  a sua insapu...

QUANDO HO INVESTITO LA VECCHIA...

QUANDO HO INVESTITO LA VECCHIA Lo dico subito, sarò politically uncorrected . Non si dovrebbe ridere di una cosa del genere né chiamare  vecchia una signora (avrà avuto poco più di 65 anni). Andiamo con ordine. Era un tardo pomeriggio, di quelli che torni distrutto dal lavoro, pieno di pensieri e con ancora molte cose da fare in quel poco che resta della giornata. Non trovavo parcheggio, passavo e ripassavo sempre per gli stessi posti, sperando in un colpo di fortuna. Infine lo vedo, eccolo lì, parto al verde come neanche Vettel o Hamilton sarebbero stati capaci, mi affianco allo stallo, guardo i tre specchietti retrovisori, mi volto per maggiore sicurezza verso il marciapiede (sono prudente, non crediate) e ingrano la retromarcia. I sensori di parcheggio segnalano un ostacolo, qualcosa in terra, immagino, non avendo visto nulla, inchiodo immediatamente, mi giro verso il marciapiedi e la vedo, la vecchia . È scesa dal marciapiede, passando acc...

DOVE FINISCONO LE PAROLE PERDUTE

DOVE FINISCONO LE PAROLE PERDUTE Sia chiaro, questa non è una lezione d’informatica, io non ci capisco nulla, a malapena riesco ad accendere un PC, figurati se posso insegnare qualcosa che il buon Aranzulla non abbia già detto. Volevo mettervi a parte, però, di una cosa che ho scoperto (anche se molti sapranno): quello che noi cancelliamo dal computer finisce nel cestino, è vero, ma anche quando svuotiamo quest’ultimo ne rimane traccia nell’hard disk; con semplici programmi un malintenzionato potrebbe far riemergere quello che abbiamo gettato via o pensato di nascondere. Quindi occhio! Esistono programmi per sovrascrivere e rendere illeggibile il documento, nessuno potrà mai più leggere quel brano che le avete dedicato e mai spedito, quella foto fatta insieme al mare che avete cancellato per paura che vostra moglie…, cose così. Ma non è di questo che volevo parlarvi. In realtà ho sempre immaginato una fine più romantica per le parole che scriviamo e poi eliminiam...

ATTO UNICO E FINALE

ATTO UNICO E FINALE La bambina dell’età apparente di circa dieci anni entra dalla quinta di sinistra, si ferma al centro del palcoscenico, volta le spalle al pubblico. Il fondale è un enorme schermo, composto da altri più piccoli. Sullo stesso scorre un cielo azzurro, con nubi bianchissime. Le quinte sono nere, come il palcoscenico. BAMBINA:  (mentre compie un giro di trecentosessanta gradi su se stessa, fermandosi di nuovo con le spalle al boccascena)  E quindi sarebbero queste le nuvole che vedevo da bambina? Accidenti, ora le ricordo, anche se è passato tanto tempo. Ricordo come mi divertivo a trovarci dei disegni che avessero un senso, specialmente volti. I volti, volti di gente conosciuta, o anche sconosciuti che avrei incontrato nel cammino della vita, il vicino di casa, il lattaio, il portiere dello stabile dove vivevo con i miei. Ora che sono adulta è tutto andato perduto, ho perso tutto, quel palazzo non c’è più, non c’è più neanche la stradina, ...

ANCORA UN PO’ DI SPERANZA

ANCORA UN PO’ DI SPERANZA La lama appuntita dall’odio spacca il cuore mobile; a nulla serve serrare  nella mano il libro dei giusti. Il sangue esce a fiotti, lava quello versato in precedenza; e mentre arde di piacere la mano peccatrice piange l’arma ignara e responsabile, e tu ridi, innocente e impunito. Inumano grido per inumano dolore; doveroso aiuto a chi si volta e grida: perdonami, fratello. Il dardo avvelenato scoccato dall’arco dell’indifferenza, non corrompa più il mio coraggio, il sangue innocente non copra l’orma del peccatore che fugge. Non nascondere le mani intrise del sangue di mio fratello; a cosa servirebbe? Ciò che hai fatto non si laverà, non potrà essere incendiato, Tu hai ucciso mio fratello e coloro che uccidi sono miei fratelli. STHEP

SIGNOR GIUDICE

SIGNOR GIUDICE, NON MI GIUDICHI Signor giudice, non mi giudichi. No, non intendevo dire che lei non debba fare il suo lavoro. Ascolti, a volte le cose non sono come appaiono. Sì, è vero, l’ho ucciso, non negherò, mai mi pentirò d’averlo fatto. L’ho amato, l’ho amato da morire; però per morire intendevo d’amore. E invece è morto lui, anzi, l’ho ucciso, con queste mani. Queste mani che lo hanno curato, accudito, accarezzato ed eccitato. Le stesse mani lo hanno trafitto. Signor giudice, non mi giudichi. No, non è per i continui tradimenti, in fondo neanche io sono stata una santa. Non ce lo eravamo mai detto, ma ognuno poteva prendersi lo spazio che voleva. Tanto poi saremmo tornati sempre nelle braccia dell’altro. Amandoci e perdonandoci, tra un amplesso e l’altro. Guardandoci durante la preparazione della colazione.  Quello era il nostro modo di volerci bene, ripetere i gesti quotidiani. Sempre con la stessa cura e attenzione...