Per non dimenticare mai Oggi ho fatto una cazzata, bella grande. Me ne andavo in giro per Roma, dirigendomi verso il Ghetto. Volevo fare qualche foto al Portico di Ottavia ( https://it.wikipedia.org/wiki/Portico_di_Ottavia ) per finire poi alla pasticceria kosher dove fanno dolci introvabili altrove e deliziosi. Mi sono ritrovato davanti al Museo della Shoah, senza rendermene conto. Due Carabinieri in congedo escono e mi informano che avrebbero aperto di lì a venti minuti. Gli dico che ero passato per caso, ma che senz’altro, vista la loro gentilezza, sarei venuto. Oggi, domani, chissà... Ripassando dopo un giro di foto al Teatro Marcello, vedo uno dei due che sta aprendo il cancello e che, riconoscendomi, mi fa un cenno di saluto. Non ci penso un attimo, entro. Dopo cinque minuti di introduzione, mi avvio per il percorso. Foto, documenti e video sulle pareti, divisi per periodi storici, dal 1933, quando in Germania decisero che gli ebrei erano un problema (500.000 su oltre
25 Aprile Sarà stato l’agosto (di questo sono sicuro, mio padre prendeva le ferie sempre in quel mese) del 1975 o 1976. Eravamo a Macerata, a casa di un cugino di mio padre, quasi un fratello, considerato che lui e i suoi due fratellini più piccoli andarono a vivere con i miei nonni, dopo che rimasero prematuramente orfani. Mio nonno diceva sempre: dove si mangia in dieci (8 figli più i genitori) si mangia in tredici. Eravamo seduti al tavolo da pranzo, mia zia andava avanti e indietro nervosamente, portava cose da mangiare, sparecchiava, riportava altro. Mio padre era nervoso, “Dici che viene?”. “Certo.” rispondeva mio zio. Ogni dubbio venne fugato e ogni certezza rafforzata dal suono del campanello. Sentii mia zia urlare di gioia, mio padre si alzò dalla sedia molto emozionato, si toccò i capelli, e rimase in piedi ad attendere l’ingresso dell’ospite. Era basso e un po’ grassoccio, un viso solcato da rughe scurite dal sole. Rapidamente abbracciò mio zio, che aveva già inc